domenica 15 maggio 2016

Lettere al Direttore dell'Avvenire sul DDL unioni civili


Caro direttore, 
«Ho giurato sulla Carta, non sul Vangelo». Con tutto rispetto, la Carta è perfettibile perché scritta da uomini, il Vangelo ti perfeziona perché Parola di Dio. Se questo Renzi non lo capisce... Preferisco guardare all’esempio di re Baldovino del Belgio: si autosospese pur di non firmare la legge sull’aborto. Che tristezza, come dice papa Francesco, i «cristiani fai-da-te». Buon lavoro. Don Andrea Vena Bibione (Ve) 



Caro direttore, 
la misura à colma! Addirittura la fiducia anche alla Camera sulle unioni civili. Un provvedimento, questo, che interpella non la testimonianza politica, ma la coscienza personale. Ho finora aderito alle idee moderate e moralmente buone del partito – pure di governo – Area Popolare. Laddove Ap non prenda doverosamente le distanze dalle posizioni maggioritarie nel Partito Democratico, è mio intendimento prendere a mia volta decisa distanza dal “mio” partito, almeno fino a quando non dimostrerà autonomi comportamenti rispetto all’alleato.
Giuliano Vaccari, Rovereto (Tn)



Caro direttore, 
il voto sulla legge per le unioni civili ci ha lasciati perplessi per molti motivi. Per ora mi soffermo solo sulla modalità e cioè sul voto “disgiunto”: fiducia e scrutinio palese. In realtà palesi entrambi, ma con diverso peso e finalità. Già le interviste raccolte da “Avvenire” a parlamentari cattolici di partiti della maggioranza ne hanno spiegato la portata. Non votare la fiducia sarebbe equivalso a togliere il consenso al governo con quello che ne segue in termini di stabilità e di continuità nel processo delle riforme. Il secondo voto, invece, è sostegno a una legge che è difficile da accettare nella formulazione finale. Le leggi sono meglio rispettate quando non sono ambigue. Ormai la frittata è fatta. Vorrei solo umilmente ricordare che il referendum sull’aborto vide una percentuale di voti popolari a favore ben superiore (più del 67%) dei voti contrari in Parlamento. Il messaggio è lo stesso: i cattolici sono “irrilevanti” in Parlamento perché nella società non sono vivi e condivisi i valori, di cui sono portatori, fondati su quell’umanesimo di cui c’è tanto bisogno per una convivenza davvero degna. Perciò, direttore, è importante e faticosa la sfida che ci attende. Non ci sarà una nuova generazione di politici cattolici formati, se prima non sarà recuperata la loro formazione sociale. Non si ricattano Governo e Parlamento «ci ricorderemo a ottobre», piuttosto si prepara una generazione che si “sporchi le mani” con la politica. Si incomincia dal basso, anche nelle amministrazioni municipali. Con stima e affetto per tutti i politici che accettano la fatica di questa forma di carità, oggi spesso incompresa.
Mariapia Garavaglia